RISPOSTA AL PROFESSORE ICHINO A SEGUITO INTERVENTO SU RAI TRE
In una recente trasmissione televisiva su Rai Tre (“Cominciamo bene” del 17/1 condotta da Fabrizio Frizzi ed Elsa Di Gati) il Prof. Ichino, per spiegare l’inefficienza della P.A. dovuta a suo dire essenzialmente agli impiegati fannulloni e ai sindacati che li difendono, portava come esempio quello che è accaduto al Ministero del Lavoro a seguito del decentramento delle funzioni del collocamento alle Regioni e, poi, alle Province con relativo trasferimento del personale. Secondo il Prof. Ichino che sta portando avanti da tempo la crociata contro i dipendenti pubblici, decine di migliaia di impiegati hanno accettato il decentramento alla Regione e agli Enti Locali per restare a lavorare vicino casa, mentre potevano essere utilizzati più proficuamente dal Ministero del Lavoro, per esempio, per rafforzare il servizio ispettivo.
Ma da quale montagna del sapone scende costui? A chi vuole darla a bere e, soprattutto, qual è la colpa dei lavoratori? In quel periodo, correva l’anno 1997, la RdB del Ministero del Lavoro ha sfornato quantità industriali di volantini fortemente critici riguardo al decreto legislativo 469/97 che OBBLIGAVA il 70% del personale del Ministero al trasferimento ai centri per l’impiego gestiti dalle province “…tenuto conto delle esigenze funzionali dei nuovi Uffici..”, mentre stabiliva nel 30% la percentuale del personale che rimaneva nei ruoli del Ministero del lavoro e Previdenza Sociale.
La RdB indisse anche uno sciopero contro questa operazione, con relativo sit-in sotto la sede di via Flavia.
Sostenevamo una cosa che a noi pareva chiarissima più della luce del sole. Oltre 6500 lavoratori destinati ai centri per l’impiego erano troppi avendo la legge 196 /97, cioè il “pacchetto Treu” (norme in materia di promozione dell’occupazione) “innovato” il mercato del lavoro dando il via al lavoro interinale, ai co.co.co e aprendo le porte alle agenzie di lavoro interinale private.
Gran parte di tale personale, adeguatamente formato, poteva essere impiegato assai più utilmente per rafforzare l’attività di vigilanza sui luoghi di lavoro, tenuto conto del risibile numero degli ispettori in rapporto alle aziende. Le scelte liberiste imponevano invece un processo che, purtroppo, nulla aveva a che fare con il contrabbandato avvicinamento dei servizi per l’impiego alla popolazione attraverso il decentramento delle “politiche attive del lavoro” e che, viceversa, molto aveva a che fare con l’eliminazione dei lacci e lacciuoli alle imprese in nome della competitività totale e della perdita di diritti di milioni di lavoratori condannati al precariato di massa.
Le normative che sono seguite ci hanno messo il carico da 90! Oggi, in sintesi, la situazione è questa: dai centri per l’impiego passano migliaia di contratti a “progetto” e moltissime aziende e cooperative utilizzano tale tipologia contrattuale in quantità abnorme (spesso il 90% della forza lavoro) anche quando il “progetto” coincide totalmente o si sovrappone all’attività principale ed accessoria dell’impresa: dunque si tratta di truffe belle e buone. Manovali, facchini, pulitori vengono assunti a progetto. Cooperative sociali che svolgono attività di prevenzione, cura, riabilitazione, assistenza domiciliare, inserimento dei disabili nella scuola e nell’ambiente di lavoro e che prendono appalti pubblici, per esempio dai Municipi (come avviene su larga scala a Roma), per svolgere quella che è l’attività propria della coopertiva, assumono operatori a progetto, cioè autonomi, con tanto però di foglietto con gli orari da rispettare ogni giorno e l’obbligo della comunicazione preventiva di almeno 24 ore in caso di impossibilità ad eseguire la prestazione, ma senza diritti e con paghe sproporzionate rispetto al lavoro che svolgono, oltretutto, nella maggior parte dei casi, senza neppure preoccuparsi di formarli.
E qual’ è quell’Assessore o dirigente provinciale o regionale, di destra o di sinistra, o quel “top manager” dei centri per l’impiego che di fronte a fenomeni così estesi ed evidenti si sia preso finora la briga di far controllare se le assunzioni a progetto presentino i requisiti di legge e, in caso contrario, dare disposizione al personale di segnalarle all’Ispettorato del Lavoro?
E anche quando i coraggiosi co.co.pro del collettivo precari dell’ATESIA presentano direttamente la denuncia al servizio ispettivo del ministero del lavoro, cosa succede? Gli ispettori vanno in azienda più volte e scoprono l’illegalità diffusa di migliaia di finti progetti dietro cui si cela il rapporto di lavoro subordinato. Fanno il rapporto all’azienda, il rapporto viene bloccato dal TAR del Lazio, vengono inseriti “appositi” articoli in Finanziaria coi quali si condona l’azienda dal versamento delle retribuzioni pregresse, i contributi vengono pagati essenzialmente dal Ministero del Lavoro e da quello del Tesoro, il datore di lavoro deve impegnarsi ad assumere i finti lavoratori a progetto a tempo indeterminato ed il nuovo contratto, grazie agli accordi sindacali, sarà subordinato ma a part - time a 20 ore settimanali, con una paga - neppure 600 euro al mese – che non permette quindi di vivere. Gli operatori del call-center dovranno stare a totale disposizione dell’azienda per ciò che concerne turni e orari. Se rifiutano i turni imposti, anche per motivi gravi e documentati, vengono licenziati.
Il lavoro degli ispettori è stato di fatto vanificato però in Finanziaria c’è l’assunzione di trecento ispettori! (300!) che si aggiungono agli idonei di un recente concorso e il cui numero complessivo, comunque, è assolutamente insufficiente. Insomma, prof. Pietro Ichino, la colpa dell’inefficienza è dei dipendenti degli ex uffici di collocamento che vogliono il lavoro sotto casa, degli ispettori del lavoro che percepiscono due lire di stipendio e operano con mezzi propri, a spese proprie senza percepire rimborsi, indennità, straordinari, oppure delle politiche liberiste a lei tanto care e di chi le persegue nella Pubblica Amministrazione con indubbio zelo e retribuzioni di tutto rispetto?
Altro che Autority per i fannulloni!