Le ragioni del no al protocollo sicurezza (?) Inl
Pur nella consapevolezza che su queste importanti materie tutte le OO.SS. dovrebbero convergere, questa Organizzazione Sindacale, in merito al protocollo di sicurezza INL per il contenimento e la diffusione del virus COVID-19, e ai suoi vari aggiornamenti, ha sempre manifestato, dolorosamente, il suo dissenso in quanto, a suo avviso, inadeguati allo scopo per quanto di seguito argomentato.
Tutti i rischi, compreso quello biologico da esposizione virale coronavirus, devono essere oggetto della valutazione e del conseguente aggiornamento del D.V.R., ai sensi dell’art. 28, comma 2, lett. a), TUSL, ove il legislatore usa l’espressione “tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa”. Un’espressione altamente e volutamente significativa, in quanto fa intendere che debbono essere valutati tutti i rischi che possono profilarsi, non necessariamente a causa dell’attività lavorativa, bensì durante l’attività lavorativa, come appunto il Coronavirus.
Proprio quel “durante” induce a condividere la linea interpretativa accolta dalla Commissione per gli Interpelli nel recente Interpello n. 11 del 25 ottobre 2016: “il datore di lavoro deve valutare tutti i rischi, compresi i potenziali e peculiari rischi ambientali legati alle caratteristiche del Paese in cui la prestazione lavorativa dovrà essere svolta, quali a titolo esemplificativo, i rischi legati alle condizioni sanitarie del contesto geografico di riferimento”.
Di fronte a questa abbondanza di norme emergenziali c’è stata una tendenza, favorita dalla nota n.89 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro del 13 marzo 2020 (che tratta “Adempimenti datoriali - Valutazione rischio emergenza coronavirus”), a trascurare LA LEGGE più importante, il Testo Unico della Sicurezza del Lavoro, che prevede che tutte le imprese debbano valutare i rischi e indicare le misure di prevenzione in un documento di
valutazione dei rischi (D.V.R.).
Per l’Ispettorato Nazionale quest’obbligo non è previsto per le aziende dove il Covid-19 non è un rischio professionale (con esclusione, dunque, delle attività sanitarie o socio-sanitarie che, peraltro, hanno già valutato tale rischio indipendentemente dall'attuale emergenza), ma per un principio di massima precauzione e per la tracciabilità delle azioni messe in campo ritiene opportuno che tutte le misure, pur non originando dalla classica valutazione del rischio tipica del datore di lavoro, vengano raccolte per costituire un appendice al D.V.R. a dimostrazione di aver agito al meglio, anche al di là dei precetti specifici del d.lgs.n.81/2008.
Questo, a nostro avviso, è una grave lacuna interpretativa in cui sarebbe incorso l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, che è rimasto solo a sostenere questa tesi, perché tutte le istituzioni, dal Ministero della Salute a quelli degli Interni e della Giustizia fino all’Unione Europea, con la Direttiva n 739 del 24.06.2020, hanno sostenuto che il Covid-19 è uno degli agenti biologici di cui dobbiamo tener conto in sede di prevenzione.
Dobbiamo dare atto, poi, che nel decreto legge del 7 ottobre n. 125 la suddetta Direttiva
Europea è stata recepita all’articolo.4, anche un bambino saprebbe rispondere semplicemente leggendo le definizioni:
Agente biologico del gruppo 2: un agente che può causare malattie in soggetti umani e costituire un rischio per i lavoratori; è poco probabile che si propaga nella comunità, sono di norma disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche;
Agente biologico del gruppo 4: un agente che può provocare malattie gravi in soggetti umani e costituire un serio rischio per i lavoratori e può presentare un elevato rischio di propagazione nella comunità; non sono disponibili, di norma, efficaci misure profilattiche o terapeutiche.
La direttiva in parola, peraltro, inquadrerà il virus SARS-Cov2 come agente biologico del gruppo 3, dell'allegato XLVI del d.lgs. 81/2008, e non gruppo 2, come diversamente affermato dall’INL, nel Vademecum Formazione INL, pag. 3, riducendo le misure ed i presidi espressamente previsti dalle norme per proteggere i lavoratori dai rischi di contagio.
Agente biologico del gruppo 3: un agente che può provocare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori; l’agente biologico può propagarsi nella comunità; ma di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche.
Anche il Ministero del Lavoro nella sua circolare del 13 settembre 2020, congiunta con il Ministero della Salute, dice che bisogna rispettare il decreto lg.vo n. 81/2008 e quindi in qualche modo sconfessa l’ interpretazione dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.
Se l’INL avesse correttamente interpretato e conseguentemente applicato le norme non avrebbe tralasciato la sorveglianza sanitaria e avrebbe svolto il ruolo che le compete.
Se si attuano le misure emergenziali previste nei protocolli, linee guida o accordi, in rispetto dell’art. 2087 del c.c., e cioè obbligo generale di tutela delle condizioni di lavoro, non si esclude la colpa addebitabile al datore se esso opera soprattutto in violazione dei precetti del TU sulla sicurezza del lavoro.
Dunque, l’art. 29 bis del d.l. 23/2020 (convertito nella legge 47/2020), a ben vedere, lungi dall'introdurre uno "scudo penale", non esclude la responsabilità penale del datore che pur rispettando il protocollo non adempia ai distinti obblighi previsti da leggi specifiche quali il TUSL.
Roma, 13 novembre 2020
USB P.I. Coordinamento nazionale MLPS, INL e ANPAL