DOCUMENTO CONSEGNATO PRESSO GLI UFFICI DELLA CONSIGLIERA NAZIONALE DI PARITA' CHE DENUNCIA LE GRAVI DISCRIMINAZIONI DI NATURA ECONOMICA

Roma -

 

 

 

La scrivente O.S. chiede l’intervento della S.V. in merito alla discriminazione intervenuta a danno di una parte di lavoratori del Ministero del Lavoro e P.S. in conseguenza dell’ Accordo Integrativo nazionale per la determinazione dei contenuti del  FUA 2009 siglato tra Amministrazione e le sigle sindacali, CISL, UIL ed FLP,  in data 30 aprile 2010, con il quale, al fine della distribuzione degli incentivi economici, non viene riconosciuta l’assimilazione alla presenza in servizio delle assenze retribuite prevista dal D.L. n.112 /2008 e dall’art. 71 della legge n.133/2008, nonché dal comma 23 dell’art.17 del decreto legge n.78/2009 lettera d).

L’Amministrazione, infatti, con il consenso delle suddette OO.SS., riconosce le giornate di assenza dal servizio comunque equiparate alla presenza, solo ed unicamente ai fini del raggiungimento della soglia delle 60 giornate di presenza utili per accedere al sistema della produttività.

Pertanto tutti quei dipendenti che fruiscono, in virtù di norme a loro tutela, dei permessi retribuiti, subiscono un danno economico in quanto detti permessi  non vengono conteggiati come effettiva presenza per l’incentivazione che riguarda la produttività su base collettiva, escludendo gli stessi da una parte consistente del Fondo di Amministrazione e quindi, operando, nei loro confronti, una vera e propria discriminazione.

Obiettivo dell’art. 71 della legge 133/2008 era quello di impedire alla P.A. di considerare le assenze dal servizio come presenze ai fini della distribuzione delle somme di fondi per la contrattazione integrativa. La disposizione riguarda, in generale, tutte le assenze ad esclusione, però, delle sotto elencate assenze esplicitamente individuate:

1.    maternità, compresa l’interdizione anticipata dal lavoro, e paternità;

2.    permessi per lutto;

3.    per citazione a testimoniare e per l'espletamento delle funzioni di giudice popolare;

4.    assenze previste dall'articolo 4, comma 1, della legge 8 marzo 2000, n. 53;

5.    per i dipendenti portatori di handicap grave, i permessi di cui all'articolo 33, commi 6 e 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104.

 Il sopracitato art. 71 della legge 133/2008 al comma 5 considerava, viceversa, come assenze non equiparate alle presenze in servizio il congedo retribuito di due anni (anche frazionato) previsto dall’art. 42, comma 5, del D.lgs. n.151/2001 per l’assistenza ai figli con grave handicap, ai fratelli o le sorelle e ai genitori conviventi, o al coniuge e i permessi lavorativi ex art.33 della legge n.104/1992 (commi 1, 2 e 3) cioè i permessi che spettano ai genitori, ai parenti e agli affini delle persone con handicap grave.

Successivamente però il comma 23 dell’art.17 del Decreto- legge 1/7/2009 n.78 (c.d. decreto anticrisi) alla lettera d) ha abrogato interamente il comma 5 dell’art. 71 della Legge 133/2008 che prevedeva quelle restrizioni nella retribuzione; pertanto, dall’entrata in vigore della norma, cioè dal 2 luglio 2009, sono abrogate le decurtazioni sui permessi lavorativi  ex legge 104/92 e sul congedo parentale fino a due anni per l’assistenza ai familiari con grave handicap: tali assenze dal servizio vanno pertanto considerate come presenze ai fini della distribuzione delle somme di fondi per la contrattazione integrativa. 

Tale normativa non è stata assolutamente rispettata dall’Amministrazione e dai sindacati firmatari dell’accordo FUA nazionale per gli anni 2009/2010 attuando così una vera e propria violazione della legge ed una grave discriminazione.

Sottolineiamo,  inoltre, che nel nostro ordinamento è presente da tempo l’estensione della protezione e delle agevolazioni anche ai lavoratori che si occupano di familiari disabili. Ci si riferisce ai permessi mensili di cui godono sia il lavoratore disabile sia il familiare lavoratore impegnato nel lavoro di cura e di assistenza.

E, quindi, nel nostro ordinamento la nozione di discriminazione si estende a includere anche la persona che non ha tra le sue caratteristiche il fattore di rischio ma è in relazione diretta con una persona che ha queste caratteristiche e subisce per questo conseguenze negative nel rapporto di lavoro. A tale proposito la Corte di Giustizia Europea, nell'interpretazione della direttiva 2000/78/Ce, ha chiarito che  il divieto di discriminazione diretta fondata sulla disabilità si estende non solo  al lavoratore disabile  ma anche al genitore vittima di discriminazione a causa della disabilità del figlio ( Sent. Corte di Giustizia Ce 17.07.2008, C – 303/06).

Si vuole inoltre sottolineare l'importanza della finalità sociale delle disposizioni che sono state violate soprattutto in relazione alla condizione femminile già in fase di

 

pesante arretramento; come spiegare infatti che le donne lavoratrici sotto la duplice veste di  madri e di assistenti  agli anziani o a persone non autosufficienti, oltre a non poter contare su politiche e normative tendenti a migliorare la conciliazione tra lavoro e attività in ambito famigliare, debbano anche perdere quei soldi ( pochi) che gli spettano di diritto? Che poi debba essere proprio il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, amministrazione deputata proprio a sviluppare quelle politiche e quei diritti che invece essa stessa infrange, appare veramente frustrante.

Si chiede, pertanto, alla S.V. di intervenire al fine di creare le condizioni per il rispetto della normativa vigente tramite la rimozione degli ostacoli che, attraverso gli accordi sindacali sopra citati, stanno creando forti discriminazioni sul piano della redistribuzione salariale presso Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, tutelando quei lavoratori che ad oggi vedono calpestati  i loro giusti diritti .

 

Roma, 12 novembre 2010                              p. la Federazione RdB P.I.

                                                                            Paola PALMIERI