VERTENZA ATESIA E LEGGE 30

Roma -

 

Le contrastanti reazioni del mondo politico, sindacale, imprenditoriale e dei media a seguito dei risultati, tra l’altro prevedibili, cui sono giunti gli ispettori del lavoro a conclusione dell’indagine sull’Atesia, call-center del gruppo COS/AlmavivA, pongono interessanti spunti di riflessione su cosa fare della legislazione neoliberista vigente in materia di lavoro.

Gli ispettori, nel redigere il rapporto, si sono attenuti alla normativa vigente ed anche (nonostante i media abbiano detto il contrario) alla circolare Damiano della scorsa estate. Per questo, crediamo, sarà  problematico per l’azienda vincere i ricorsi.

Avrebbero dunque ragione Ichino, Sacconi, Treu & Co. a dire che la legge 30 è una buona legge che tiene conto anche delle esigenze dei lavoratori oltre che delle imprese? Riprova, secondo loro, sarebbe proprio il “caso Atesia” e la possibilità che la norma avrebbe dato agli ispettori di rilevare la subordinazione del rapporto di lavoro di 3200 precari, outbound inclusi. Del resto sul programma dell’Unione non si parla di abrogare ma di modificare la legge che contiene tipologie contrattuali “estreme”. Quindi, per esempio, basterebbe eliminare il “lavoro a chiamata” o il “lavoro ripartito”, e tutto sarebbe “on line”. Qualche politico ha rilevato che, in fondo, i dirigenti dell’Atesia hanno peccato di ingenuità: invece di trasformare i co.co.co in Lap, avrebbero potuto attingere a contratti superflessibili, superprecari ma subordinati, previsti dalla legge 30, come - per esempio - la “somministrazione di lavoro” o il “contratto di inserimento professionale” e così avrebbero evitato di essere “bastonati” dagli ispettori.

Della serie: un po’ se la sono cercata!…

Nel voler modificare la legge 30, anziché abrogarla, c’è una ipocrisia di fondo insopportabile.

Più onesto sarebbe dire: va mantenuta così com’è.

Tutte le leggi neo-liberiste in materia di lavoro dell’ultimo ventennio contengono alcuni “paletti” spacciati per forme di tutele che poi, o vengono ignorati o cancellati del tutto o aggirati.

La legge dell’84 sui contratti di formazione - lavoro prevedeva un tot numero di ore di formazione ma nessuno, o quasi, ha mai assolto a tale obbligo e la inosservanza della funzione formativa da parte dei datori di lavoro non ha prodotto conseguenze rilevanti  a favore dei lavoratori stessi (trasformazione del contratto a tempo indeterminato).  La legge 56/87 ha diffuso a non finire i contratti a termine e abolito in parte la chiamata numerica ma, come contrappeso, prevedeva nell’art. 16 l’obbligo per la Amministrazioni dello Stato e gli EE.LL. ad assumere lavoratori (per qualifiche in cui era richiesta la licenza media) attraverso le liste del collocamento. Ora, sappiamo bene che attualmente le società a cui viene affidata le gestione dei servizi pubblici da parte di comuni, regioni, province, essendo società per azioni (anche se pubbliche al 100%), sono escluse dall’obbligo di rivolgersi al collocamento a cui, semplicemente, comunicano il nome della persona assunta mediante  chiamata nominativa  (rafforzamento del clientelismo ). La legge 223 del 1991 ha generalizzato la chiamata nominativa e introdotto la mobilità vale a dire licenziamenti di massa senza paracadute. 

Il contratto a tempo determinato (Dlgs.n.368/01) non era ammesso presso unità operative in cui si era proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi di lavoratori adibiti alle stesse   mansioni: ma, nella pratica, è bastato modificare di poco la mansione e migliaia di precari hanno legittimamente preso il posto di altrettanti lavoratori “stabili” fatti fuori dai padroni; quando non erano proprio gli accordi sindacali interni a prevedere la sostituzione.

Il lavoro interinale (“pacchetto Treu”del 1997) all’inizio era previsto solo per alcune qualifiche (alte) poi si è esteso a tutte: a giugno ‘97, cioè quando è entrata in vigore le legge 196, era vietato in edilizia e in agricoltura ma a dicembre dello stesso anno è stato esteso, mediante decreto ministeriale, anche in questi settori piagati dal fenomeno dei sub- appalti e del caporalato (così di fatto legalizzato). Sono solo degli esempi ma una cosa è certa: ad ogni legge liberista in materia di lavoro, ne è seguita sempre un’altra peggiore e questo è potuto accadere anche e soprattutto grazie al ruolo, negativo, svolto negli anni dai sindacati tradizionali.

Ed è un tantino sospetto che oggi essi dicano che l’attività ispettiva del Ministero del lavoro si deve estendere dal campo dei call- center ad altri settori “dove i troppi contratti a progetto potrebbero mascherare lavoro subordinato”. Perché Cgil, Cisl e Uil, anziché firmare accordi pessimi, non consegnano agli Uffici periferici del Ministero le segnalazioni che poi permettono agli ispettori di intervenire?

Se non fosse stato per alcuni ragazzi del collettivo autorganizzato dei precari dell’Atesia, che hanno rilasciato denunce assai dettagliate, gli ispettori non sarebbero intervenuti in quanto l’ispezione non era stata programmata dall’Ufficio e perciò non rientrava nella vigilanza straordinaria su iniziativa. 

Inoltre i precedenti accessi in Atesia risalenti alla metà degli anni ’90 sono avvenuti in seguito ad un esposto fatto allora dal Sulta, sindacato autonomo. In ogni caso la legge Biagi contiene al suo interno gli antidoti all’eventuale efficacia dell’attività di vigilanza. Per esempio il decreto legislativo 124/04 che è il decreto attuativo dell’art. 8 della legge 30/03 (l’art. 8 riguarda la Riforma dei servizi ispettivi), istituisce il “Comitato Regionale per i Rapporti di Lavoro” composto dal direttore regionale della D.R.L. (direzione regionale del Ministero del lavoro), che lo presiede, e dai direttori dell’Inps e dell’Inail.

A tale Comitato  fanno ricorso le aziende “pizzicate” e in quella sede possono avvenire accordi “pateracchio” che possono di fatto vanificare il “verdetto” degli ispettori (Ministero del lavoro contro Ministero del lavoro!) Ma c’è di più. Ad ogni nuovo morto sul lavoro assistiamo alla solita carrellata di dichiarazioni indignate di sindacalisti e politici che reclamano maggiori controlli. Ebbene, il decreto legislativo 124/04, nell’art. 13, ha introdotto la “diffida obbligatoria” che è una sorta di condono (più che dimezzamento delle sanzioni pecuniarie) per le violazioni di alcune norme in materia di lavoro considerate sanabili. Dalla “diffida obbligatoria” in un primo momento erano escluse le violazioni riguardanti il D.lgs. 626/94, cioè le violazioni sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, ma con la circolare n. 9 del 23/3/2006 della Direzione Generale delle Attività Ispettive, a firma dell’ex ministro Maroni, anche per le violazioni amministrative in materia di previdenza e sicurezza è introdotta la “diffida obbligatoria” (cioè il condono) e quindi si applica la sanzione minima.

Come si vede un tranquillizzante segnale per le aziende e il tentativo di rendere innocua la  funzione ispettiva: altro che inefficienza dei pubblici dipendenti!!!

Allora: cosa si pensa di farne del “pacchetto Treu” e della sua naturale emanazione, la legge 30?

In attesa di una risposta dell’attuale maggioranza, purtroppo prevedibile in un sistema di alternanza, occorrerebbe almeno per decenza uscire dall’ipocrisia.

Secondo noi è necessario cancellare e riscrivere le normative degli ultimi anni in materia di lavoro e per questo si rende necessaria una risposta organizzata ed unitaria dei lavoratori che rimetta al centro la tutela dei diritti, la dignità ed il salario.



Roma, 11 settembre 2006

RdB – Servizio ispezione del Lavoro Roma