CONTRORIFORME 2: ridateci la mission !!!

Contributo di alcuni colleghi

Roma -

Qualche mese fa constatavamo la progressiva scomparsa della “mission” degli Ispettori e dei Funzionari della nostra amministrazione (in un comunicato intitolato “controriforme".

Oggi, dopo la risposta del Dr. Pianese alla diffida relativa alla questione degli arbitrati ex art. 7 dello Statuto dei lavoratori, non possiamo che confermare la tendenza ed aggiungere ulteriori elementi di preoccupazione.

In immediato riscontro alla nota dell’Amministrazione, abbiamo già rilevato i limiti e la pericolosità del non voler riconoscere l’incompatibilità assoluta degli Ispettori del lavoro nominati arbitri.

Ma le contraddizioni non finiscono qui.

Seguiamo il ragionamento dell’Amministrazione.

  • La legge prevede che il Direttore della DPL “nomini” l’arbitro terzo, non necessariamente un Funzionario dell’Ufficio;

  • l’attività arbitrale del Funzionario incaricato dal Direttore non configura un compito d’istituto in quanto di natura privatistica;

  • la nomina del Funzionario configura un incarico a valore autorizzatorio;

  • la nomina del Direttore ha carattere discrezionale e la scelta non deve ricadere, al contrario dell’arbitrato del pubblico impiego, su soggetti già preselezionati ed inseriti in una lista apposita.

  • sarebbe comunque il caso di definire i criteri espressione dei principi generali di buon andamento ed imparzialità che presiedono all’individuazione dei Funzionari ;

  • è il caso, come già sollecitato ai vertici degli Uffici Periferici, di stabilire dei parametri per il compenso dovuto agli arbitri.

Dunque l’attività arbitrale, di natura autonoma e disciplinata da normativa privatistica, non viene conferita dalla legge ma viene autorizzata mediante un atto di nomina discrezionale adottato dalla stessa amministrazione di appartenenza in persona dell’organo di vertice.

Una volta incaricato, il Funzionario opera al di fuori dei compiti d’istituto, in posizione di assoluta terzietà .

Tutt’ altra natura e funzione ha invece l’attività di conciliazione dei Funzionari che presiedono le attuali commissioni per il tentativo di conciliazione obbligatorio delle controversie di lavoro sia privato che pubblico.

E fa bene l’amministrazione a ribadirlo.

Effettivamente, tra il concludere un accordo in via transattiva, sia questo raggiunto dalle parti o accettato dalle stesse su proposta del collegio, e il risolvere una controversia in via decisoria, ce ne passa.

La questione però si complica in vista della definitiva approvazione del disegno di legge governativo 1167 in esame al Senato in commissione in sede referente, diretto discendente del 1441 quater già approvato alla Camera.

Oltre a rendere facoltativo il T.O.C. (tentativo obbligatorio di conciliazione), salvo che per i rapporti di lavoro certificati, questa riforma, di imminente approvazione, disegna una procedura simile a quella già prevista per l’espletamento del T.O.C. per le controversie di lavoro del pubblico impiego (che non si capisce se sia anch’esso destinato a diventare facoltativo) ma soprattutto introduce la funzione arbitrale delle Commissioni.

Se non viene raggiunto l’accordo e comunque in qualsiasi fase dell’esperimento del tentativo di conciliazione, le parti possono decidere di conferire incarico arbitrale alla Commissione che deve emanare il lodo entro 60 giorni a pena di decadenza.

Ora, riesce molto difficile considerare quest’ultimo un “arbitrato istituzionale” per distinguerlo da quello “privato”dell’art. 7 della legge 300, a meno di non usare due pesi e due misure.

In entrambi i casi:

  • la legge prevede la funzione arbitrale dell’organo collegiale costituito;

  • possono presiedere ovvero presiedono l’organo collegiale Funzionari della DPL;

  • i Funzionari Presidenti sono incaricati dal Direttore, nel primo caso il Funzionario è nominato, nel secondo è delegato;

  • l’attività arbitrale ha natura decisoria e origina dal compromesso fra le parti;

 

Dunque, o entrambe le attività vengono riconosciute autonome o entrambe rientrano nei compiti d’istituto.

Ma arbitrare significa decidere dirimendo una controversia. Le decisioni pubbliche le prendono i tribunali nell’esercizio della loro funzione giustiziale, tutto il resto è giustizia privata, cui i privati decidono di ricorrere per la risoluzione concreta del proprio caso.

Il T.O.C. nasceva al solo scopo di deflazionare il contenzioso giudiziale, il nuovo tentativo facoltativo finisce con il sostituirsi allo svolgimento di una funzione fisiologicamente attribuita ai giudici, non certo ai funzionari pubblici nell’esercizio delle proprie attribuzioni.

Nel caso dell’art. 7 del resto, continuare a sostenere l’argomento del significato “libero e neutrale”della “nomina”di chiunque ad opera del Direttore, significa disconoscere la ratio del legislatore degli anni ‘70 che ha inteso rafforzare la tutela della parte debole del rapporto di lavoro subordinato, esaltando il ruolo del soggetto pubblico chiamato a dirimere la controversia in materia disciplinare in via paragiudiziale.

Vorrà dire che all’indomani dell’entrata in vigore della riforma del T.O.C. il Ministero del Lavoro sarà di fronte ad un bivio: considerare la funzione arbitrale comunque svolta compito d’istituto o connotarla sempre come attività di natura autonoma soggetta a compenso, a meno di non voler pesantemente discriminarne i Presidenti delle commissioni provinciali di conciliazione come “arbitri d’Istituto”, quando la loro attività arbitrale, prevista dalla legge come eventuale, dipende dalla volontà espressa delle parti, come nel caso dell’art. 7.

In attesa che l’Amministrazione si chiarisca e ci chiarisca l’arcano, Funzionari delle DPL, tenetevi pronti!

Al via sarete arbitri con compenso e senza compenso a seconda del caso.

Con buona pace dell’ABC del codice di procedura civile e del diritto amministrativo.

Con buona pace della giustizia.

Soprattutto, con ancora più grande senso di smarrimento della mission...